7. Il sequestro giudiziario della quota di società di persone
Secondo la più recente giurisprudenza della Suprema Corte, la quota di partecipazione a società di persone può essere assoggettata a sequestro giudiziario.
Sul presupposto che la quota abbia natura di bene immateriale, cui afferisce una fascia di situazioni giuridiche soggettive diverse e tra loro correlate (diritti, obblighi, aspettative etc.), si è affermata la natura di bene mobile di essa, ai sensi dell’art. 812 ultimo comma c.c. e dunque si è ritenuto che la stessa, come qualunque bene mobile, possa essere sottoposta alla misura cautelare in esame, purché ricorra “una qualunque azione che implichi statuizione sulla proprietà” (o comunque sulla sua titolarità).
La Cassazione ha osservato in particolare che i dubbi dottrinali e giurisprudenziali sul limite al sequestro costituito dall’operatività del contratto sociale in regime di intuitus personae, non sono in effetti fondati.
Viceversa, rileva la Corte, la misura cautelare costituisce proprio elemento di garanzia del rispetto del patto di fiducia originario, risultando essa funzionale ad assicurare che, alla fine della controversia sulla titolarità della quota, essa pervenga, senza alterazioni cagionate dalla pendenza della lite, proprio a colui che ha diritto ad esserne riconosciuto titolare.
Più che di custodia, precisano ancora i giudici di legittimità, si determina una fattispecie tipica di “gestione temporanea” (art. 670 n. 1 ultima parte c.p.c.) del bene che è oggetto di lite (anche se ciò non sembra possa escludere che l’esecuzione del sequestro si svolga con l’ausilio di custode).
Ciò che la Suprema Corte non risolve sono invece le questioni relative alle modalità esecutive di tale misura cautelare.
Sul punto è intanto necessaria una premessa.
Se la quota è un bene immateriale, non potendosi parlare di possesso di essa48, la causa di merito che la riguarda non potrà che avere portata dichiarativa della proprietà e, al più, la condanna, per la parte cui la quota non risulti spettare, ad astenersi dall’esercizio delle prerogative di socio ed
a permettere l’esercizio di esse da parte dell’avente diritto.
In sostanza la decisione di merito non potrà avere (salvo profili secondari che non necessariamente ricorrono, come la eventuale consegna di documenti o atti relativi alla partecipazione societaria) un contenuto positivo di condanna ad operazioni di consegna o rilascio rispetto al bene (quota) in sé e per sé considerato .
Analogamente il sequestro giudiziario, che è misura finalizzata alla gestione della cosa, ma che non può certamente eccedere i limiti entro i quali potrà avere corso la pronuncia di merito cui esso è funzionale, altro non determinerà che l’immissione del custode nell’esercizio dei diritti propri
del socio.
Ciò premesso, si comprende chiaramente come le norme sull’esecuzione per consegna richiamate dall’art. 677 c.p.c., quale disciplina utile all’attuazione del sequestro giudiziario, trovino applicazione sostanzialmente limitata (del resto il rinvio dell’art. 677 c.p.c. ad esse è contenuto espressamente con la clausola di compatibilità), perché l’effetto della misura cautelare non consiste
in uno spossessamento materiale, ma solo nell’immissione del custode, ad opera dell’ufficiale giudiziario, nell’esercizio dei diritti spettanti a chi sia socio e ciò nell’interesse di chi spetterà.
In buona parte il provvedimento giudiziale è in sostanza da eseguire attraverso il mero verbale di immissione del custode nel possesso delle funzioni.
Il che, in una con il provvedimento giudiziale di nomina (contenuto già nell’atto di autorizzazione al sequestro: art. 676 c.p.c.) basta a legittimare il custode all’esercizio dei diritti verso la società, la quale non può certamente disconoscere l’efficacia del provvedimento, trattandosi di atto che rispetto ad essa non dispiega effetti diretti, ma che certamente sottrae ai contendenti ogni diritto di esercizio in proprio delle facoltà inerenti alla veste di soci.